Vietnam nell’autunno 2017
“Non ci servono altri eroi americani” mi disse Tung impugnando la quinta o sesta birra della serata. “Il Vietnam non ha bisogno di qualche altro backpacker che si schianta in moto sulle nostre strade!”
E certamente aveva i suoi motivi per dirlo. Il Vietnam è un paese molto giovane. Non lo dico a seguito di chissà quali studi e ricerche, semplicemente è quello che percepisco. Dopo la fine della guerra questo popolo forte ed orgoglioso sta cercando di rimettersi al passo con il resto del mondo, e lo sta facendo di corsa, con tutte le incongruenze del caso, e di certo non ha bisogno di cattiva pubblicità fatta da qualche occidentale irresponsabile.
Ho incontrato Tung nella capitale del Vietnam, la bellissima Hanoi. Ho passato qui un mese della mia vita, o forse qualcosa di più. Non so cosa mi aspettassi da questo luogo, ma quello che posso dire è che ci potrei anche passare una vita. Durante i mesi caldi la città odora di cibo, non sempre fresco. Il traffico è incredibile, i motorini sfrecciano ovunque sia possibile appoggiare due ruote, poco importa se si tratta di una strada, un marciapiede o la hall di un albergo. I fiumi di turisti si mescolano ai mercanti che vendono qualsiasi cosa.
La prima sera passata qui mi sono fermato a mangiare per strada, da una donna che aveva un carretto dove serviva due pietanze: non ho mai capito cosa fossero esattamente. Qui tutti bevono birra, sia perché talvolta costa meno dell’acqua, sia perché ai vietnamiti piace bere. E anche tanto. A mia volta afferro una birra, passeggiando per le strade del Quartiere Vecchio, arrivando velocemente in riva ad un lago che con il passare dei giorni diventerà sempre più familiare. C’è cibo ovunque, per cui azzardo qualche altro assaggio. Il mio palato si elettrizza la contatto con quei sapori
nuovi, così differenti dai sapori europei. La notte qua è scura, e la coltre di smog copre tutte le stelle nel cielo. Inghiotte persino i bellissimi edifici coloniali provenienti dal periodo francese, che nonostante i colori lucenti, svaniscono nel buio.
Prima della partenza per il Vietnam avevo deciso di percorrere questo stato da nord a sud in moto, e durante le varie ricerche in rete su dove acquistarne una affidabile, è apparso appunto Tung, un ragazzo vietnamita che abita ad Hanoi, fotografo, e di statura
incredibilmente elevata, per essere di qua. Dopo una serata di bevute in una delle vie più affollate della città, si decide di fare qualche scatto assieme. Pochi giorni dopo mi da appuntamento qualche km fuori dal centro, in una “location” incredibile, molto popolare tra i fotografi della capitale. Appena giunto, Tung mi presenta il suo migliore amico, Hung, e la splendida Hang che farà da modella. Lo stile fotografico vietnamita, ed in generale asiatico, è molto differente da quello occidentale, per cui mi metto un po in secondo piano per osservare Tung.
La giornata è incredibilmente calda, sento il sudore costantemente a fior di pelle. Consumo una quantità incredibile d’acqua mentre gli altri ragazzi continuano a lavorare come se nulla fosse, abituati alla loro estate come io non lo sarò mai. La sensazione che ho avuto per tutto il tempo è stata di un’estrema dolcezza e di un’amicizia incondizionata sia da parte di Tung che degli altri due ragazzi, nonostante mi avessero appena incontrato. Erano pronti a scherzare, ridere, offrirmi da bere, nonostante il loro inglese fosse traballante, nonostante fosse la prima volta che avevano a che fare con un occidentale. Ho raccolto qui parte delle emozioni di quei giorni, in pochi scatti, ma di grossa importanza. Quei giorni, che ora sembrano distanti, hanno lasciato quel velo di dolcezza di un popolo sospeso tra l’era moderna e le tradizioni tramandate attraverso chissà quante generazioni. Il popolo su due ruote, che si muove sempre su qualche scooter caricato di roba come se fosse un camion, rumoroso, caotico ma mai isterico, orgoglioso e forte, ma sempre pronto a stappare una birra con chi che sia, anche con un occidentale qualsiasi come me.